Copiare a scuola è una pratica da sempre esistita, quasi un rito di passaggio, che tutti, almeno una volta nella vita, hanno effettuato. Si tratta di un fenomeno che racconta molto dell’ingegnosità e della creatività degli studenti.

I discenti hanno sviluppato tecniche sempre più “raffinate” per affrontare compiti in classe e interrogazioni senza passare il pomeriggio sui libri.

Ogni studente almeno una volta nella vita si è trovato davanti alla tentazione di dare un’occhiata al quaderno durante una verifica o di scambiare sguardi complici con il compagno di banco.

E così, nel tempo, sono nate concrete strategie: dai bigliettini arrotolati nell’astuccio, alle formule scritte nel righello, fino agli attuali trucchi digitali, con smartwatch e auricolari invisibili.

Dietro queste tecniche si nasconde un “paradosso” invitante: per copiare bene serve spesso lo stesso impegno che richiederebbe studiare.

Scrivere bigliettini, memorizzare posizioni e creare sistemi di comunicazione silenziosa tra compagni, comporta organizzazione, pensiero strategico e, sicuramente, coraggio.

A volte i ragazzi copiano per paura di fallire, altre volte per mancanza di preparazione o semplicemente, per comodità. Tuttavia, anche se l’adrenalina del copiare può dare “eccitazione” il rischio di essere scoperti e le conseguenze che ne derivano rendono questa scelta ancora più rischiosa di quanto sembri. Alla fine “l’arte del copiare” resta un fatto che oscilla tra la furbizia e la fragilità dei ragazzi stessi.

Il vero trucco sta nel capire che la soddisfazione di fare una verifica secondo le proprie conoscenze, e grazie alle proprie forze, vale molto più di qualsiasi altra strategia messa in campo per copiare.

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